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giovedì 14 novembre 2024

Una NON tassa che ci tartassa

La Settimana Enigmistica avrebbe rubricato la notizia sotto Forse non tutti sanno che... e non avrebbe sbagliato:

Dal 1° gennaio 2025, tutte le associazioni (che già non ce l'hanno) devono dotarsi di partita IVA.

Questa novità riguarda molto da vicino il mondo di noi motociclisti, da sempre organizzato in associazioni e motoclub che molto spesso sono sprovvisti di partita IVA in quanto non esercitano alcuna attività commerciale.

Ciò non significa che queste associazioni dovranno aggiungere l'IVA alle proprie entrate (solitamente composte dalle sole quote e donazioni volontarie) addebitandola ai propri soci o sottraendola dal totale incassato, infatti queste movimentazioni, che erano considerate Fuori Campo IVA, diventeranno Esenti IVA: nessuna tassa in più.
Questa differenza, però, comporta che le associazioni dovranno gestire l'IVA, passando dall'emissione di semplici ricevute alla fatturazione, con tanto di emissione elettronica dei documenti ed invio puntuale all'Agenzia delle Entrate.

L'emissione di fatture, poi, comporta la loro corretta gestione fiscale, quindi gestione di un Registro IVA e di Dichiarazioni Periodiche IVA, incombenze che, data la complessità burocratica tipica del nostro paese, sono da affidarsi ad un commercialista e, dato che quelli che lavorano gratis sono introvabili, con ogni probabilità le associazioni si troveranno a dover gestire anche la ritenuta d'acconto presente nelle fatture che questo (così come altri professionisti) emetterà nei confronti dell'associazione che, con l'acquisizione della partita IVA, diventa sostituto d'imposta e dovrà gestire 770 e modelli CU, senza parlare del Modello Unico, per la Dichiarazione dei Redditi (!), con altro lavoro da parte del commercialista...

Insomma, ho stimato, in termini di costi vivi, quanto inciderà al minimo questa novità sulla vita di un'associazione di motociclisti di piccole-medie dimensioni, come sono quasi tutti i motoclub o associazioni di promozione sociale: almeno 1.500,00€/anno.

Questi costi comporteranno, a mio avviso, la chiusura di molte piccole associazioni o, almeno, l'accorpamento ad altre, in modo che il numero di associati permetta di raccogliere fondi sufficienti per farne fronte.

Ma perché tutto questo? Chi dobbiamo ringraziare? (uso la prima persona plurale perché anche noi di Strade da Moto siamo un'associazione).
A mio modesto parere, dobbiamo ringraziare tutte quelle associazioni che associazioni non sono ma vere e proprie attività commerciali, che nascondono la loro vera natura sotto l'etichetta di associazione, spacciando quelli che sono abbonamenti (palestre, scuole di danza, di cucina...) per quote associative o che svolgono attività di ristorazione o ricreazione sotto forma di circoli: dal 1° gennaio potranno essere meglio conosciuti dal fisco e, soprattutto, le loro entrate, così come quelle di tutte le associazioni vere, seppur esenti, saranno contemplate nella base imponibile IVA, sulla quale viene calcolato quanto ogni stato europeo deve versare alla Comunità Europea per il proprio sostentamento.

Come spesso accade nel nostro paese, non ci si attiva per effettuare i controlli e scovare chi imbroglia ma si preferisce cambiare le regole del gioco, sperando che quelle nuove li scoraggino, facendo finta di non sapere che chi imbroglia continuerà a farlo, perché sa che intanto in controlli continueranno a non essere fatti.

sabato 3 agosto 2024

Fuga (in Aubrac)

Ve l'avevo promesso ed eccomi qui a parlarvi della fuga.

Ogni tanto, sempre più spesso con l'avanzare degli anni, si sente la voglia di fuggire, almeno per un po', da quello che Ernesto Calindri chiamava il logorio della vita moderna. Non so se sia perché si invecchia o perché la vita si fa di giorno in giorno più logorante.
Comunque sia, la voglia c'è e non la si può ignorare troppo a lungo.

La fuga perfetta la si fa da soli o, al più, con chi si ama. Questa volta chi amo non poteva fuggire con me, quindi sono fuggito da solo, una fuga breve ma sufficiente per staccare.

Mezzo di trasporto: la moto (ça va sans dire).

Direzione: una zona di cui mi sono innamorato attraversandola tre anni fa, per raggiungere il Quercy, l'Aubrac.

Sono partito, quindi, come partono gli anziani, senza una destinazione precisa ma con solo una direzione.

Il giorno della partenza, un ultimo impegno mi ha trattenuto fino all'ora di pranzo, così, anziché pranzare, ho preferito partire verso il Colle della Maddalena per svalicare sul suolo francese, in zone da me ben conosciute ma non per questo meno apprezzate.
Non mi sono fermato finché ho avuto voglia di guidare e la voglia me la sono tolta (si fa per dire) nel tratto Serres-Nyons, uno di più belli che io conosca, con la sua sequenza Col de la Saulce, Col de Palluel e Gorges de St May.

Giunto a Nyons, le motivazioni che richiedevano una fuga non erano nemmeno più un lontano ricordo, si erano proprio disciolte come neve al sole, lasciando il posto a quella sensazione di pace che solo chi fa ciò che ama fare può comprendere.

Ho, quindi, deciso di fermarmi, forse per abitudine, perché faccio spesso tappa proprio qui, forse per il fiume, forse per il suo centro storico… insomma: a Nyons mi trovo bene.

Durante la cena ho pensato che l'indomani non sarebbe stato male passare a trovare una vecchia conoscenza: la Route du Cirque de Navacelles, nelle Cévennes.

Avendo tagliato da Orange a Nîmes sull'autostrada A9, sono giunto nelle Cévennes abbastanza presto, al mattino, ed ho percorso per ben due volte, da sud a nord, la Route du Cirque de Navacelles incontrando quasi nessuno. Sì, due volte, perché il mio nuovo TTdC, degno successore del GdM, non ha rilevato il mio passaggio in un punto dell'itinerario che avevo preparato prima di partire, così, con un lungo giro quasi circolare, mi ha riportato all'inizio della Route. Poco male: me la sono goduta due volte e mi sono saziato a sufficienza di curve e panorami da accettare di buon grado la spinta interiore ad attraversare il Viaduc de Millau per raggiungere l'Aubrac, sull'autostrada. Sì, non sono di quelli che condannano a priori l'autostrada: ogni tanto si può fare, se è bella (e la A75 non è male) e se ci permette di saltare da un paradiso all'altro, come uno stargate spazio-temporale (Cévennes e Aubrac sono, indubitabilmente, due paradisi).

Ormai solo più la strada, il paesaggio di cui mi sento parte e la sensazione di piena libertà occupano la mia mente mentre lascio la A75 a Campagnac ed inizio ad addentrarmi nell'Aveyron, nel Parc Naturel Regional de l'Aubrac, fin da subito su strade perfette e senza traffico, verso il fiume Lot, per poi proseguire fino a Prades d'Aubrac, un piccolo paesino dove nel frattempo ho individuato un alberghetto, sulla strada che porta al villaggio medievale denominato Aubrac, una frazione di Saint Chély d'Aubrac che è anche tappa di uno dei mille cammini per Santiago de Compostela. Proprio la strada che porta da Prades a Aubrac è quella che, con il suo dolcissimo andamento ed i suoi panorami, mi ha colpito di più, una strada in grado di infondere un'incredibile sensazione di pace. Ripercorrerò più volte questo pezzo di strada, anche perché a Aubrac ho individuato un piccolo bar con belvedere dove tornerò per riposare davanti ad una birra, rigorosamente locale.

Lascio trascorrere il tempo mentre sorseggio la birretta e mi accorgo che la fuga sta funzionando, che sto bene e mi sto godendo il dolce far niente (avendo un sacco di cose da fare ma da un'altra parte, non qui).

Per oggi può bastare, mi avvio verso l'albergo dove incontro i gestori, Fabrice e Valerie, e alcuni frequentatori del bar che mi fanno immediatamente sentire tra amici. Non tardiamo a iniziare a parlare come se ci conoscessimo da sempre, ben sapendo che difficilmente ci incontreremo ancora ma non importa: viviamo adesso, sans souci.

Quando chiedo loro che cosa non mi sarei dovuto perdere in zona, mi hanno entusiasticamente elencato diversi luoghi che avrei dovuto visitare. Non me li sarei mai potuti ricordare tutti, anzi, nemmeno uno, né nomi né itinerari. Allora ecco che prendono carta e penna e me li scrivono, indicandomi anche la sequenza più logica per passare da uno all'altro.

Torno in camera e, prima sullo smartphone poi sul mio TTdC, creo il percorso sulla base delle loro indicazioni. Eccolo, l'ho riportato in questo itinerario.

Ma non sono qui a scrivere dell'itinerario né dei posti che ho visitato. Sto scrivendo di una fuga, che ha raggiunto il suo apice proprio durante il giro improvvisato sulle indicazioni ricevute da nuovi amici che non conosco affatto.

Ecco cos'è la fuga: la fuga è uscire da schemi come quelli che non ci permettono di essere amici degli sconosciuti, o di partire senza una destinazione; la fuga è l'oblio dei mille problemi quotidiani che ci sembrano insormontabili e invece esistono solo nella nostra testa (lo dimostra il fatto che anche quando siamo in fuga, tutto procede ugualmente, come se niente fosse); la fuga è improvvisazione.

Solo due categorie di persone sanno vivere in questo stato di grazia: i bambini e i motociclisti in fuga.

domenica 21 aprile 2024

Meravigliosa?

Da otto anni campeggia sulla mia pagina Facebook personale l'immagine di uno striscione appeso ad un balcone con la scritta Motociclisti... strana, meravigliosa gente.
Un motto che ho deciso di fare mio perché lo sentivo perfettamente calzante ad una categoria di persone di cui credo di fare parte e che ritengo molto particolare.

Da allora ho creato questo sito web, poi con Andrea e Massimo abbiamo creato l'Associazione Culturale Strade da Moto e infine, insieme all'amico Pietro, il suo gruppo Facebook, e i numeri sono stati sempre incoraggianti: 100-150 soci, quasi 6.000 motociclisti iscritti al sito, oltre 100.000 iscritti al gruppo Facebook... ma con questo post non voglio celebrare né questi numeri né, tantomeno, me stesso (questi numeri rappresentano voi, non me).

Qualche mese fa, spronati dal nuovo socio Francesco, che su quel pezzo di strada ha perso l'amico Manuele, come Associazione abbiamo deciso di impegnarci per fare qualcosa di concreto per la sicurezza di tutti i motociclisti: una raccolta fondi per l'installazione di un primo tratto di Dispositivo Salva Motociclisti proprio su quella strada dove uno di noi, un altro, ha terminato i suoi giri in moto a causa di dispositivi di sicurezza mancanti o inadeguati.

Ci è stato presentato un preventivo di 12.200 Euro per mettere in sicurezza 140 metri di strada, su una curva che, a dispetto dell'apparenza, è sempre stata difficile, pericolosa. Ma per noi non si tratta solo di questo: 12.200 Euro per provare ad impegnarsi, tutti insieme, a innalzare il livello di sicurezza delle nostre strade e, insieme, sensibilizzare l'ente pubblico, che ad oggi non ha alcun obbligo di installare questi dispositivi salva vita. Insomma, un progetto pilota, da ripetere dove ce ne sia bisogno.

A poco più di un mese dal lancio della raccolta, mi trovo a fare due conti: su 12.200 Euro necessari, ne sono stati raccolti 1.690, di cui 400 da parte di due aziende, ergo 1.490 Euro da parte di 35 motociclisti.

Praticamente hanno partecipato il 19% dei soci, lo 0,61% degli iscritti al sito e lo 0,04% degli utenti del gruppo Facebook.

E pensare che se gli iscritti al sito versassero 2 Euro ciascuno o se gli utenti del gruppo Facebook partecipassero con 12 centesimi a testa, avremmo già concluso la raccolta e saremmo alla ricerca di nuove tratte da mettere in sicurezza. La nostra sicurezza.

Sognando, posso dire che se tutti gli iscritti al sito fossero così generosi come i 35 che hanno partecipato, potremmo mettere in sicurezza 2.800 Km di Strade da Moto. Se lo fossero gli utenti del gruppo Facebook... quasi 50.000 Km!

Invece no.
Pare che la sicurezza passiva in moto, a meno che non sia ostentabile, non interessi a nessuno, nemmeno a quelli che contro un maledetto guardrail ci hanno perso un amico. Eppure, negli ultimi due anni, la media di motociclisti morti in Italia ogni anno si aggira sugli 850, 2-3 amici rimasti sull'asfalto al giorno.

Trovo difficile nascondere la mia delusione; inizio a sentire un po' meno mio quel motto, sfido chiunque di voi a sottoscriverlo oggi di fronte a questi numeri e invito ognuno a farsi l'esame di coscienza e chiedersi se, nei fatti, sia o meno un vero (meraviglioso) motociclista, sempre pronto a fermarsi un attimo e partecipare mettendoci del suo là dove ce n'è bisogno, oppure se non sia, più semplicemente, solo uno che va in moto.

lunedì 17 aprile 2023

Non ci pensiamo mai ma...

Pare brutto dirlo e, ogni volta che se ne parla, si moltiplicano i gesti scaramantici intorno a me ma è un dato di fatto: i motociclisti si dividono in due categorie, chi ha avuto un incidente e chi lo avrà.

Ecco, lo hai fatto anche tu.

Ma in una partita anche le migliori squadre possono prendere un gol, fa parte del gioco.
Resta il fatto che con la moto andiamo ovunque, godendoci viaggi avventurosi e un senso di libertà impagabili ma non immuni da imprevisti o incidenti.

Si può danneggiare una gomma che non riusciamo a riparare con il kit di gonfiaggio, possiamo incappare in buche o strade particolarmente disconnesse che arrivano a causare guai seri, tanto da imporci uno stop improvviso, possiamo avere problemi all'ammortizzatore, alla trasmissione, anche solo un relè che si brucia… e magari tutto questo avviene mentre siamo soli, in mezzo al nulla, a chilometri e chilometri dal primo centro abitato.

Poi, per quanto siamo attenti e responsabili, anche per cause indipendenti dalla nostra condotta, ci può capitare l'incidente.

Nel 2021, dopo la pandemia, siamo tornati per strada in massa e sono aumentati anche gli incidenti, tanto che secondo i dati ACI-ISTAT, quell'anno quelli fatali su 2 ruote in Italia hanno raggiunto quota 695, il 18,5% in più rispetto al 2020.

Sappiamo tutti che un incidente in moto rischia di avere conseguenze più gravi di quello che coinvolge solo auto: noi viaggiamo senza barriere e tutta la forza dell'urto si scarica su di noi e sulla moto, senza la protezione di strutture deformabili, ma non sono qui né per fare del terrorismo né per ripetere quello che, giustamente, evitiamo accuratamente di pensare ogni volta che il nostro pollice destro preme quel pulsante che mette in moto la nostra libertà.
Sono qui, a scrivere questo post, perché mi sono imbattuto in un prodotto che abbina un pacchetto tradizionale di servizi di assistenza stradale per moto con un sistema di attivazione automatica del soccorso stradale che ritengo possa farmi partire con meno preoccupazioni, con più sicurezza, e lo voglio condividere con voi.

Assistenza stradale Moto Europa Top

Si chiama Moto Europa Top e consiste in in una serie di servizi utili per l’assistenza stradale validi in tutta Europa e nei paesi con carta verde, e fin qui, niente di speciale, ma Moto Europa Top si integra con un sistema, basato su APP, in grado di rilevare l'eventuale incidente, di assicurarsi che stiamo bene e nel caso, conoscendo la nostra posizione, allertare immediatamente i soccorsi.

Ho approfondito, mi sono informato, l'ho acquistato e ho chiesto (e ottenuto) all'azienda che lo propone una convenzione dedicata ai soci di Strade da Moto: ora, per avere a disposizione un'assistenza H24 che può essere attivata via telefono o web su qualsiasi strada o autostrada per ricevere soccorso stradale, intervento in loco, auto sostitutiva, rimborso spese albergo, taxi per ritornare a casa... invece di 4,00 Euro al mese, noi ne spenderemo 3,60, ricevendo anche la versione Premium dell'APP Liberty Rider che, installata sul nostro cellulare, è in grado di attivare automaticamente i soccorsi in pochissimo tempo in caso di incidente quando non fossimo coscienti, contribuendo a salvarci la vita.

(Mi sono anche accorto che l'APP Liberty Rider fa molte altre cose che vi lascio scoprire sulla loro pagina web.)

Benvenga, quindi, il gesto scaramantico ma sappiamo tutti che, da solo, non basta.

Ci sono due categorie di motociclisti: quelli che hanno avuto un incidente ...e quelli che l'avranno.

martedì 28 marzo 2023

In tutto il mondo, a qualsiasi latitudine...

Io e Roz ci avevamo già provato e, quando la strada era scomparsa sotto uno strato importante di neve, eravamo dovuti tornare indietro. Avevo sottovalutato l'inverno che, pur se mite ormai da qualche anno, resta pur sempre una stagione poco generosa con noi motociclisti.

Questa volta è andata meglio: per non ripetere l'errore mi sono informato e l'amico Gianni mi ha rassicurato, così siamo partiti con destinazione Villefranche, per riposare qualche ora visitando anche la sua piccola Citadelle.

L'itinerario scelto si è rivelato essere abbastanza impegnativo, infatti, a parte l'ormai abituale Colle di Nava, sia il Passo Teglia (preceduto, ahimè, dal Passo della Teglia), sia la Strada Provinciale Dolceacqua - Val Roya, sono molto impegnativi, specie in questo periodo, in cui le strade secondarie sono molto sporche.
Bene, molto bene... quando hai voglia di andare in moto (non so voi ma io ce l'ho sempre), impegnativo è bello.

Giunti a Ventimiglia e superato il confine a Mentone, siamo rimasti sulla costiera, per seguire la Corniche Inférieure di Montecarlo, tenere il lungomare ed approdare a Villefranche.

Ma non è per raccontare questo che sto scrivendo ma per trasmettere, se ci riesco, la sensazione di appartenenza alla comunità dei motociclisti che in questo piccolo giro io e Roz abbiamo avuto modo di provare.

Tutto ha avuto inizio a Roquebrune Cap Martin, dove avevo preventivato di fare rifornimento di carburante. Vedo i due distributori a poca distanza uno dall'altro, sulla destra, e decido di fermarmi al primo ma... dannazione, la 98 è finita ed ha solo la 95.

Quando sono in Francia, di solito premio Madi (o Etta) con un po' di benzina buona e, questa volta, non volevo deluderla, così ho deciso di proseguire per il secondo distributore, dove, invece, era terminata anche la 95.
Sul momento non ci ho pensato ma in Francia era in corso uno sciopero e, si sa, quando i francesi decidono di scioperare... non ce n'è per nessuno. Così ho deciso che avrei rifornito più avanti: in questa zona ci sono molti distributori.

Vero, ce ne sono molti. Tutti senza una goccia di benzina.

Siamo così giunti all'albergo, a Villefranche, con un'autonomia residua stimata (da me) in una ventina di km al massimo. "Vedremo", mi sono detto "al limite attendiamo qui la fine dello sciopero... mica male!".

Il mattino seguente, mentre facciamo colazione, chiedo alla cameriera se sa di qualche distributore, in zona, ancora con del carburante. Lei ammette candidamente di non sapere nemmeno dove siano i distributori in zona ma coinvolge i presenti per farmi avere l'informazione che mi serve e tutti, ma proprio tutti, cercano di rendersi utili.

Uno è più attivo degli altri e mi dice subito che con lo sciopero sarà dura ma mi dice, anche, che nella tanica che usa per la sua moto, ha ancora un litro di benzina e si offre di andarla a prendere e portarmela.
Non posso accettare: sarà solo un litro di benzina ma lui se l'è messa da parte e se lo sciopero durerà, sarà giusto che la usi per sé. Io, in fondo, posso sempre rimanere qui ad aspettare che lo sciopero finisca... mica male!

Scherzi a parte, già l'offerta di quel litro di benzina, per me è stato molto: aggiunto a quello (scarso) che ci restava, ci avrebbe permesso di arrivare comodamente in Italia, dove problemi di approvvigionamento non ce n'erano.

Al mio cortese rifiuto, questo motociclista, di cui mi accorgo ora di non conoscere nemmeno il nome, si è procurato un foglio A4 e una biro e ci ha fatto lo schema che vi riporto al fondo di questo mio post, dove ha scritto in inglese preoccupato (preoccupazione più che fondata) che avessimo problemi con il francese, segnalando i distributori che, secondo lui, avrebbero potuto avere ancora del carburante.

Alla fine, abbiamo trovato l'unico distributore ancora fornito all'ingresso di Montecarlo, quello che lui mi ha segnalato come BP ma che ora è Esso, con una lunga coda, un cartello che limitava a 50 Euro il rifornimento massimo e con la 95 a... 2,41 Euro (e rotti) al litro.

Nella piccola disavventura, quel foglio che ci ha lasciato è stato molto importante, per noi. Non per trovare la benzina (saremmo cascati lì lo stesso) ma per trovare l'ennesima conferma del fatto che, a qualsiasi latitudine, i motociclisti sono strana, meravigliosa gente.

sabato 11 giugno 2022

La strada più bella

Come al solito, lascio passare un po’ di giorni prima di mettermi a scrivere di qualcosa, in modo che i ricordi passino al setaccio della memoria, che lascia cadere le emozioni più piccole e trattiene quelle più importanti, quelle che mi porterò dietro per più tempo.

Il sesto Meeting di Strade da Moto è stato un successo e, paradossalmente, ne sono orgoglioso proprio perché, per la prima volta, il mio impegno in prima persona è stato pressoché nullo. L’organizzazione è stata presa in carico dal Gruppo Veneto di Strade da Moto, magari non senza qualche dissidio e discussione ma, si sa, così vanno le cose quando ci si impegna in qualcosa e come si dice: chi non fa non falla. Niente che non si possa ricomporre, anzi, sono certo che sarà solo questione di tempo e (sempre grazie a quel setaccio) tutto tornerà alla normalità.

È stato il primo meeting post-mascherine (queste sì che speriamo di dimenticarle) ed è stato come ritrovarsi dopo molto tempo con persone mai viste prima, dopo una lunga separazione forzata. Sono bastati pochi minuti per riconoscersi e riallacciare relazioni che non c’erano mai state e che ben difficilmente si interromperanno.
Quello che voglio dire è che abbiamo passato tre o quattro giorni con vecchi amici che non avevamo mai incontrato prima, che i rapporti tra persone fino a quel momento sconosciute, sono stati quelli che, normalmente, intercorrono tra compari abituati a passare il tempo condividendo le proprie passioni.

Ecco, di questo si tratta, di passione. La passione per i viaggi in moto è stata il collante, ciò che ci ha tenuti uniti e che difficilmente permetterà che le amicizie che sono nate possano essere tanto facilmente dimenticate.

Abbiamo percorso molte strade insieme, ognuno coi suoi tempi, ognuno a modo suo ma avendo tutti ben chiara la meta: il viaggio, e la strada che, tra tutte, resterà maggiormente impressa in ognuno di noi, sarà proprio quella che ha portato a nuove amicizie.

Grazie, quindi, a Pietro, Federico, Olga, ma anche ad Alberto e Gionata, che sono stati capaci di organizzare alla perfezione questo meeting, portandoci su bellissime Strade da Moto ma mettendo in primo piano le relazioni interpersonali ed i tempi necessari a favorirle e grazie, soprattutto, a tutti i partecipanti, che da buoni motociclisti non si sono lasciati sfuggire l’occasione di percorrere per l’ennesima volta la strada che, attraverso la condivisione delle emozioni, porta a nuove e durature amicizie.

lunedì 14 marzo 2022

I sodalizi funzionano meglio, quando sono strani

Avevo scritto di uno strano sodalizio e... pare che ce l’abbiamo fatta, la Strada del Vallone di Elva rinascerà a nuova vita e noi di Strade da Moto ci prendiamo una piccola, piccolissima parte di merito, avendo sollevato il problema già da ottobre scorso con la nostra petizione che ha raccolto quali 9.000 firme, e avendo avuto la fortuna di incontrare sul nostro cammino persone che si sono rivelate fin da subito preziosissime per il raggiungimento dell’obiettivo, persone alle quali va la grande parte del merito:

Maria Luisa Stroppiana, che si presenta come volontaria, amante e appassionata  della montagna, di Elva, la sua bella strada, la sua cultura e tradizione e che non ha mollato un attimo alla ricerca di altre realtà, enti, associazioni e aziende, che si unissero alla nostra campagna.

Il Sindaco di Elva, Giulio Rinaudo, e l’assessore Mariano Allocco, che ci hanno saputo guidare, per quanto molto discretamente, in un mondo a noi sconosciuto come quello della politica.

Mattia Pepino, vicepresidente dell’Associazione Assemblada Occitana, che non ha esitato un attimo ad unirsi a noi con tutta l’associazione.

Enrico Collo, divulgatore scientifico, guida escursionistica, accompagnatore turistico e grande appassionato delle nostre montagne, che ha messo a disposizione le sue conoscenze del territorio e i suoi collegamenti con chi stava già lavorando alla ricerca di soluzioni tecniche.

Daniela Dao Ormena, giornalista, pubblicista e autrice, appassionata della cultura delle nostre Alpi, esperta di comunicazione che ci ha aiutato a muoverci correttamente con i media.

E tutti noi dobbiamo ringraziare quelle 121 realtà che (contattate una ad una da una instancabile Maria Luisa) ci hanno dato il loro supporto inviando alla Provincia documenti di sostegno alla nostra iniziativa. I documenti dei comuni che hanno aderito rappresentano, praticamente, il 63% della popolazione della provincia di Cuneo.

Infine voglio ringraziare il Presidente della Provincia di Cuneo Federico Borgna, che ho incontrato insieme a Pietro e a Maria Luisa per presentare la petizione e che fin da subito ci ha sorpreso per il caloroso appoggio che ci ha messo a disposizione, sia come Presidente, sia come Sindaco della Città di Cuneo.

La Regione Piemonte, ora, porterà a Roma Elva con la sua strada, come borgo destinatario dei 20 milioni di Euro che il PNRR mette a disposizione di un borgo per ogni regione.

Ci vorrà ancora tempo, lo sappiamo, molto tempo, e noi non vediamo l’ora che i lavori abbiano inizio e che siano portati a termine. Intanto, quest’estate, magari ci ritroveremo, a Elva, per stringere la mano al sindaco e festeggiare questo successo insieme a lui e agli abitanti dei tanti borghi che compongono il suo comune.
Sicuramente, quando la strada sarà aperta, non perderemo occasione per percorrerla per trovare il fresco d’estate, per visitare la Fremo Cuncunà, gli affreschi del XV e XVI secolo della magnifica Chiesa Parrocchiale, per andare per malghe ad acquistare strepitosi formaggi, per pranzare a Elva o in uno dei tanti ristoranti tipici della zona.

A presto, a Elva!

Scarica il comunicato stampa dell'Agenzia della Giunta Regionale

sabato 22 gennaio 2022

Una strada da salvare e uno strano sodalizio

La famosa Fremo Cuncunà Potrebbe sembrare che tutto sia iniziato il 5 ottobre 2021 ma la decisione di adoperarsi perché una strada tanto bella quanto importante sia riaperta era già stata presa dal Consiglio Direttivo dell'Associazione da tempo.

Il 5 ottobre è stata pubblicata la petizione, su Change.org, rivolta alla Provincia di Cuneo per cercare di arrivare all'obiettivo della messa in sicurezza e riapertura della Strada del Vallone di Elva e in tanti hanno (anzi avete) iniziato a firmare.

Riporto il testo della petizione che trovate all'indirizzo https://change.org/stradedamoto-elva e, se non l'avete ancora fatto, cliccate, firmate e fate firmare, la raccolta continua fino a quando non avremo raggiunto l'obiettivo.

Associazione Culturale Strade da Moto ha lanciato questa petizione e l'ha diretta a PROVINCIA di CUNEO (Ufficio Relazioni con il Pubblico)

La Strada del Vallone di Elva (SP104 in provincia di Cuneo) collega il paese di Elva e le sue 28 frazioni, a 1637 metri di altitudine, con la strada principale della Valle Maira.

Il Vallone ha delle pareti a picco, un orrido come è realisticamente chiamato la Coumbo d'Elvo e la strada che lo percorre necessita, ormai da anni, di una messa in sicurezza che ne permetta la riapertura al traffico.

Gli abitanti del paese, per scendere a valle, sono obbligati a percorrere i 18 km della stretta, impervia e pericolosa SP335 anziché i 9 della SP104, così come i margari con le loro mandrie, che in primavera si spostano in montagna per l'alpeggio e in autunno ritornano a valle.

L'impossibilità di utilizzo della strada, oltre a creare notevoli disagi alla popolazione residente, ai margari e agli animali portati in alpeggio, comporta un grave danno all'economia locale, rendendo difficile l'accesso al paese di Elva e a tutta la zona oltre che la fruizione di arte, cultura e beni naturali locali.

Infine, la strada stessa, per la sua bellezza, è considerata meta escursionistica di rilievo e la sua chiusura comporta enormi perdite dal punto di vista turistico, perdite a carico delle attività locali, che possono portare all'annullamento totale della cultura della zona.

Chiediamo, quindi, che la Provincia di Cuneo si adoperi, in tempi brevi, per effettuare gli interventi necessari alla messa in sicurezza della Strada Provinciale 104, Vallone di Elva, per permettere una sua celere riapertura.

Un po' di storia

La Madonna del Vallone La strada è molto conosciuta tra i motociclisti ma, forse, non tutti sanno che quella strada è stata costruita con il lavoro (e il denaro) degli Elvesi che, sebbene parliamo già del XX secolo, non potevano più continuare a sopravvivere con le quasi inesistenti vie di comunicazione con il resto del mondo. Solo nel 1949 la strada è, finalmente, aperta e transitabile con carrozze e automobili e la prima auto raggiunge Elva, dal Vallone, nel 1956.

Nel 1965 la strada viene affidata all'amministrazione provinciale, la quale, nel 1970, provvede alla sua prima asfaltatura, a cui ne seguirà un'altra nel 1995, richiesta dal passaggio del Giro d'Italia ciclistico di quell'anno.

A quanto pare, da allora la manutenzione operata dalla Provincia si è concentrata sulla sicurezza della strada ma, senza una visione d'insieme, con opere spot concentrate di volta in volta sull'ultimo evento. Già il progetto iniziale prevedeva alcune gallerie, non solo per permettere il passaggio in punti più difficili ma, soprattutto, per proteggere la strada da valanghe e frane. Nel tempo, poi, sono stati realizzati tre paravalanghe.

Un tratto della strada Lascio qui qualche link dove, chi fosse interessato, può approfondire:

http://www.stradadelvallone.it/
https://www.vallemaira.org/attrazione/vallone-di-elva/
http://www.chambradoc.it/elva/La-strada-del-Vallone-di-Elva.page

Come sta andando

Ora la strada è chiusa a causa del rischio di frane, ma ciò che ci ha spinto a muoverci in prima persona per la sua messa in sicurezza e riapertura, è stato proprio il passare del tempo senza che si intravedesse la possibilità che ciò si realizzasse, e il primo passo è stato proprio la creazione della petizione, la quale, almeno localmente, ha avuto una discreta visibilità mediatica, al punto che dopo il primo migliaio di firme raccolte, altre realtà interessate alla riapertura della strada si sono messe in contatto con noi e, dopo un primo momento di dialogo e confronto, insieme abbiamo dato vita ad un "sodalizio unico tra istituzioni e società civile", come sottolineano il Sindaco di Elva Giulio Rinaudo e l'assessore Mariano Allocco, "nell'interesse del bene pubblico".

Frana I segni di una delle frane che si sono verificate nel tempo.
Foto di Piermario Pirotti
Associazioni culturali e di categoria, enti pubblici, fondazioni... in tanti, veramente in tanti si sono uniti al coro sempre più numeroso di chi chiede la messa in sicurezza e la riapertura della strada, e di questo siamo tutti grati a quelle persone che da mesi, ormai, si stanno adoperando per far crescere questo sodalizio, persone che non citerò qui per nome perché non sono sicuro che abbiano piacere di apparire ma alla quale vanno il nostro riconoscimento e tutta la nostra gratitudine.

Altre dinamiche, sempre tese alla messa in sicurezza e riapertura della strada, hanno fatto sì che da un paio di mesi il Politecnico di Torino stia svolgendo un grande lavoro di individuazione dei punti pericolosi della strada e ricerca delle soluzioni più adeguate, allo scopo di arrivare alla creazione di un progetto di massima dal quale poter individuare i costi di un'opera del genere.

Ieri, venerdì 21 gennaio, abbiamo potuto finalmente incontrare il Presidente della Provincia di Cuneo sia per presentargli ufficialmente la petizione, di cui aveva già ovviamente notizia, e le oltre 8600 firme raccolte fino ad ora, sia per conoscere la posizione dell'Amministrazione Provinciale.

Mario, Pietro e Federico Borgna Io e Pietro con il Presidente Federico Borgna
Di certo non ci aspettavamo una chiusura ma, devo essere sincero, nemmeno un'apertura così chiara e netta, al punto che il Presidente Federico Borgna, in qualità anche di Sindaco della Città di Cuneo, si è dimostrato quasi offeso dal fatto che non avessimo chiesto supporto all'iniziativa anche al Comune di Cuneo, supporto che intende assolutamente manifestare.

In modo molto pacato, com'era facile prevedere il dialogo si è incentrato sulla necessità di procedere all'individuazione degli interventi necessari, ora in mano al Politecnico di Torino, e quindi alla preventivazione dei costi, che permetteranno di capire se l'opera sia affrontabile o meno.

Ci siamo ovviamente dichiarati d'accordo su quasi tutto. Unica differenza è stata che, per noi, giunti alla definizione dei costi non si dovrà decidere se procedere o meno con la messa in sicurezza della strada, bensì con la ricerca dei fondi necessari, bussando a tutte le porte dalle quali possa rispondere qualcuno che, come la Provincia, abbia il dovere istituzionale di partecipare alle spese, dalla Regione allo Stato e per finire all'Unione Europea.

Con il Presidente ci siamo trovati, infine, d'accordo sul fatto che quella strada debba essere riaperta, che non si potrà dimenticarla per ragioni economiche dando uno schiaffo in faccia a chi con il proprio sacrificio (anche in termini di vite umane) quell'opera l'ha realizzata, a chi oggi ne ha bisogno per garantire la sopravvivenza di una cultura unica ed irripetibile ma anche solo per vivere in modo accettabile il proprio quotidiano.

Noi di Strade da Moto abbiamo iniziato questa avventura perché abbiamo intravisto il rischio della perdita definitiva di un'opera di inestimabile valore, di una strada che lascia a bocca aperta chiunque vi transiti, che sia in moto, in bici, in auto o a piedi.
Lavorando insieme a chi si è unito a noi, abbiamo oggi moltissimi altri motivi per continuare con impegno con questa iniziativa e mi piace pensare che, dopo l'incontro di ieri, possiamo contare anche sul supporto e condivisione di intenti di chi ha la responsabilità di quella strada, l'Amministrazione Provinciale, avendo ottenuto la promessa che, definito il costo della messa in sicurezza, sarà fatto tutto il possibile per trovare i soldi per realizzarla.

Visto che fare e mantenere le promesse piace anche a noi, ne abbiamo lasciata una nostra al Presidente: quando sarà individuato l'importo, il nostro impegno sarà rivolto a verificare costantemente che i soldi siano effettivamente cercati, trovati ed investiti, e saremo ben lieti di essere noi, tutti gli appartenenti a questo strano sodalizio, a sostenere e spingere la Provincia.

Insomma: ieri non si è conclusa un'avventura, anzi, è appena iniziata.

Chiesa parrocchiale di Elva L'interno della chiesa parrocchiale di Elva con gli affreschi realizzati tra il XV e il XVI secolo dal pittore fiammingo Hans Clemer, detto anche il Maestro d’Elva

domenica 1 agosto 2021

Cronaca di un giro fallito

Per il mio compleanno avevo deciso di regalarmi un giro in moto che sognavo da tempo.
Lo avevo progettato qui e prevedeva un bel po' di sterrato: Monte Jafferau e Assietta, con Etta, la mia Himalayan.

Lo premetto: non sono un esperto di off-road, anzi, mi ci sto avvicinando poco a poco e, leggendo, vi accorgerete del fatto che lo sto facendo nel modo sbagliato.

Il giro partiva da Cuneo, dove vivo, e all'andata prevedeva una deviazione per visitare la Colletta di Cumiana mentre al ritorno avrei fatto qualche Strada da Moto meno nota, come il Colle Lazzarà, il Colle della Vaccera, la Colletta di Paesana e il Colletto di Brondello (o Colletta di Isasca) ma il clou erano gli sterrati, il Monte Jafferau, con ovviamente il Monte Pramand e la Strada dell'Assietta, con la rapidissima sequenza (da ovest verso est) dei colli Basset, Bourget, Costa Piana, Blegier, Lauson e Assietta.

Con veicoli a motore non è possibile visitare Jafferau e Assietta lo stesso giorno in quanto il primo è transitabile solo il mercoledì e il sabato, mentre il secondo è transitabile solo gli altri giorni. Così ho previsto di fermarmi a dormire dalle parti di Sestriere e fare Jafferau il sabato e Assietta la domenica. Peccato che domenica fosse il primo agosto e che la strada dell'Assietta sia chiusa anche la prima domenica di ogni mese. Poco male: la chiusura scatta alle nove del mattino, quindi sarebbe stato sufficiente percorrerla entro quell'ora.

Partenza, da casa, alle 07:30, una sosta per la colazione, un'altra dal mio nuovo spacciatore di roba da moto... insomma, intorno alle 09:20 sono alla Colletta di Cumiana, stupito dalla grazia di quella strada, esaltata ancora di più dalla monotonia di rettilinei/rotonde del tratto appena percorso per raggiungerla.

Colletta di Cumiana

Scendo e mi avvio impaziente verso Avigliana, Susa, Chiomonte, sulla Statale del Monginevro, per svoltare a destra, verso Fenil, verso Pramand. Trascorso un km su una strada stretta ma gradevolissima, subito dopo Fenil, l'asfalto lascia posto ad uno sterrato pietroso e dissestato che mette subito sull'avviso chi arriva circa la difficoltà del percorso. Ovviamente la velocità cala improvvisamente e... si comincia.

Pietre, dissesto e qualche isola di fango rendono la guida molto impegnativa e cauta ma, tutto sommato, con la moto adatta e con la mia poca esperienza, si procede bene, in mezzo ad un ambiente che trasmette pace e serenità, unite alla potenza della montagna.
Fin da subito, sulla sinistra il vuoto, come un monito all'importanza dell'attenzione costante, continua. Per me che soffro di vertigini un monito molto sentito.

Salendo supero qualche moto (c'è gente ancora più prudente di me) ma più spesso mi sposto a destra per fare spazio a chi sale con moto e abbigliamento da cross, molto più velocemente e tracciando profondamente quella che è, probabilmente, la migliore traiettoria.

Arrivato al bivio per il Monte Pramand mi fermo per una pausa e per due chiacchiere con gli altri. Siamo tutti stupiti dalla bellezza dei paesaggi; i motori sono spenti e parliamo a voce bassa, rispettosi del silenzio che ci circonda.

Quando riparto svolto a sinistra, per quella che è la seconda tappa del giro, il Monte Pramand.
In poche centinaia di metri il fondo peggiora rapidamente, fino ad arrivare ad un primo passaggio veramente duro, che definirei più da trial che da enduro. Poco male: procedo pianissimo, superando pietra per pietra, buca per buca, cercando di aggirare gli ostacoli peggiori e chiedendomi se, visto che si torna dalla stessa parte, sarei poi riuscito a scendere, che per me è più difficile che salire.

Superato il passaggio, dopo qualche altra decina di metri tutt'altro che semplici, incontro un secondo passaggio, completamente diverso, composto da profonde fenditure, nella terra, praticate dall'acqua che dev'essere scesa abbondante nei giorni scorsi, e che ha lasciato un sottile strato di fango. Praticamente piccole montagne di fango disposte a casaccio, inframmezzate da canali diagonali abbastanza profondi e da rocce che spuntano aguzze. Mi rendo immediatamente conto di non potercela fare. Né a salire né, tanto meno, a scendere. Mi fermo un momento a pensare: lo spazio per girarsi è risicato ma di proseguire non se ne parla. Con tanta pazienza, un po' di forza fisica e mille manovre, giro la moto e torno sui miei passi, sconfitto da quella strada ed invidioso, nei confronti di chi ci sa salire.

Nella discesa, in quello che era il primo passaggio che avevo ritenuto difficile, nel giro di una frazione di secondo la moto salta su una pietra e si inclina verso destra, obbligandomi a buttarmi, istintivamente, a sinistra, facendo forza, con tutto il corpo, nel tentativo di rialzarla. Non cado, però sento un dolore lancinante subito sotto il rene destro. Non so cosa sia successo ma qualcosa tipo uno stiramento, uno strappo... non lo so, ma da quel momento, ogni sconnessione del fondo mi procura un po' di dolore e lì il fondo non è affatto liscio.

Continuo, nella speranza che il dolore sia una cosa passeggera e molto curioso di attraversare la Galleria del Seguret, più nota come Galleria dei Saraceni, lunga 876 mt e dalla pianta a U, costruita dai militari tra il 1925 ed il 1929. Appena entrati il cambio di luce impedisce di vedere ed il fatto che l'altra uscita sia dopo l'interminabile curva che la galleria disegna, fa si che si viaggi nell'oscurità più assoluta. Il faro della mia Etta e gli occhiali scuriti dal sole non aiutano molto a prevedere le asperità del fondo e, nemmeno, l'andamento della curva. Non sembra ma oltre ottocento metri in quelle condizioni sono lunghi e sfido chiunque l'abbia percorsa ad affermare di averlo fatto senza preoccupazione, anzi con un po' di paura.

Esco dalla galleria, mi fermo per fare due foto, poi percorro la sola curva che mi separa dal Forte al Seguret per fare una pausa, così come molti altri.

Due motociclisti che stanno facendo due passi lì intorno mi guardano, si danno un'occhiata tra loro e mi vengono incontro facendo segno di fermarmi subito: ho la gomma anteriore a terra, bucata.

Qualche fotogramma dalla mia cam

Vengo immediatamente preso dallo sconforto: con me non ho nulla per ripararla, mi sono stupidamente affidato alla fortuna. E adesso?

Parcheggio proprio di fianco al forte e quei due mi si avvicinano. Sono tedeschi e, in inglese, mi chiedono se ho l'attrezzatura per ripararla. Alla mia sconsolata risposta negativa, mi dicono che loro possono aiutarmi, se io sono d'accordo. Certo che sono d'accordo, e non so come ringraziarli.

Troviamo il chiodo piantato nel copertone, un chiodo piccolo, circa 15 mm., antico, di quelli fatti a mano chissà quanto tempo fa e che era lì, ad aspettarmi da un secolo, credo.
Si uniscono i due loro compagni di viaggio, senza lasciarmi lo spazio per fare o dire alcunché tirano fuori dalle loro piccole moto da cross tutta l'attrezzatura di un'officina e nel giro di venti minuti, chiacchierando con me del più e del meno, tolgono la ruota, scalzano il copertone, estraggono la camera d'aria, chiudono il buco con una patch, reinseriscono la camera d'aria, rimettono a posto il copertone, gonfiano la gomma con una bomboletta di aria compressa, rimontano la ruota e danno un'ulteriore gonfiata.
Incredibili, alla faccia di quelli che su Facebook inneggiano alla fratellanza tra motociclisti perché ci si saluta.


Ovviamente non sapevo e non saprò mai come ringraziarli: io non conosco nemmeno i loro nomi e loro non conoscono il mio, di loro so solo che sono veri motociclisti e, anche se non so chi siano, veri amici.

Nel frattempo, il dolore alla schiena si è acuito e non poco. Penso un attimo se continuare a salire, verso il monte Jafferau ma sono scoraggiato, sia dal dolore, che mi fa penare ogni piccolo saltino della moto, sia dalla gomma, perché non c'è modo di sapere se terrà o meno (ha poi tenuto benissimo!).

Già deluso dalla spugna gettata in precedenza, verso il Forte Pramard, scoraggiato dal mal di schiena ormai insopportabile, il senso di inadeguatezza che è sorto in me nel momento in cui mi sono reso conto di essermi avventurato in qualcosa di più grande di me, da solo, senza nemmeno preoccuparmi di procurarmi qualche attrezzo per ogni evenienza (su quelle strade una foratura non è una possibilità così remota), scelgo di proseguire tagliando la visita al Forte Jafferau e scendendo direttamente verso Bardonecchia e, una volta lì, di decidere sul da farsi.

Per i primi km il fondo stradale è più o meno uguale, e la mia schiena mi fa ormai gemere ad ogni pietra.
Quando, scendendo, ricompaiono gli alberi, sulla strada il fango è sempre più presente, il fondo che mi piace di meno; evidentemente nei giorni scorsi sul lato di Bardonecchia è piovuto di più, così il fondo sdrucciolevole e tutt'altro che in piano, impone rapidi spostamenti dei pesi per mantenere la direzione e la mia schiena continua a peggiorare.

Giunto all'Hotel Jafferau, dov'è possibile fare ancora un pezzo di sterrato, vedo che il cielo si sta minacciosamente scurendo, così decido di scendere direttamente a Bardonecchia e, proprio quando arrivo, si scatena un temporale con una bella pioggia battente che, presa su per i bricchi, mi avrebbe probabilmente portato a valle senza che io dovessi fare sforzi!

Mi rifugio in un bar e decido che il mio giro è finito, che indosso l'antipioggia e torno a casa a riposare e a curarmi la schiena. Ma non è così facile: da quel momento la pioggia smette solo quando mi fermo e riprende violenta, a volte sotto forma di grandine, solo quando riparto.

Tranne nel pezzo da Salbertrand a Susa, dove, giunto a Exilles, una lunga colonna di auto indica che qualcosa non va.
Raggiungo gli altri motociclisti in testa alla colonna e mi informano che un fratello ha avuto un incidente, non si sa ancora come, che gli è costato la vita. Vediamo andare via il carro funebre nel silenzio e, una volta ripartiti, per un bel pezzo nessuno ha superato i 70 all'ora. Come una processione silenziosa.

Ancora acqua e grandine, fino a casa, pensando che in fondo l'acqua, il mio buco nella gomma e il mio mal di schiena sono ben poca cosa in confronto a quanto successo a Exilles e che per capire veramente chi siano i motociclisti, bisogna avere la fortuna che ho avuto io ad incontrare quei quattro tedeschi.

Dimenticavo: ho montato la videocamera per fare qualche ripresa ma dopo il primo pezzo ho dimenticato di stopparla, così dopo, visto che non controllo mai se parte o meno, quando pensavo di avviarla la stoppavo e quando pensavo di stopparla l'avviavo. Ho delle splendide riprese del buio dentro al mio bauletto.
Infine, volevo tracciare il percorso con Location Of ma... non ha funzionato (e non so perché).

PS: oggi, domenica 1 agosto, ho letto che a Exilles, quel motociclista è solo scivolato sul fondo appena inumidito dalla pioggia ed ha avuto la sfortuna di incontrare il guardrail nel punto sbagliato.