Ve l'avevo promesso ed eccomi qui a parlarvi della fuga.
Ogni tanto, sempre più spesso con l'avanzare degli anni, si sente la voglia di fuggire, almeno per un po', da quello che Ernesto Calindri chiamava il logorio della vita moderna. Non so se sia perché si invecchia o perché la vita si fa di giorno in giorno più logorante.
Comunque sia, la voglia c'è e non la si può ignorare troppo a lungo.
La fuga perfetta la si fa da soli o, al più, con chi si ama. Questa volta chi amo non poteva fuggire con me, quindi sono fuggito da solo, una fuga breve ma sufficiente per staccare.
Mezzo di trasporto: la moto (ça va sans dire).
Direzione: una zona di cui mi sono innamorato attraversandola tre anni fa, per raggiungere il Quercy, l'Aubrac.
Sono partito, quindi, come partono gli anziani, senza una destinazione precisa ma con solo una direzione.
Il giorno della partenza, un ultimo impegno mi ha trattenuto fino all'ora di pranzo, così, anziché pranzare, ho preferito partire verso il Colle della Maddalena per svalicare sul suolo francese, in zone da me ben conosciute ma non per questo meno apprezzate.
Non mi sono fermato finché ho avuto voglia di guidare e la voglia me la sono tolta (si fa per dire) nel tratto Serres-Nyons, uno di più belli che io conosca, con la sua sequenza Col de la Saulce, Col de Palluel e Gorges de St May.
Giunto a Nyons, le motivazioni che richiedevano una fuga non erano nemmeno più un lontano ricordo, si erano proprio disciolte come neve al sole, lasciando il posto a quella sensazione di pace che solo chi fa ciò che ama fare può comprendere.
Ho, quindi, deciso di fermarmi, forse per abitudine, perché faccio spesso tappa proprio qui, forse per il fiume, forse per il suo centro storico… insomma: a Nyons mi trovo bene.
Durante la cena ho pensato che l'indomani non sarebbe stato male passare a trovare una vecchia conoscenza: la Route du Cirque de Navacelles, nelle Cévennes.
Avendo tagliato da Orange a Nîmes sull'autostrada A9, sono giunto nelle Cévennes abbastanza presto, al mattino, ed ho percorso per ben due volte, da sud a nord, la Route du Cirque de Navacelles incontrando quasi nessuno. Sì, due volte, perché il mio nuovo TTdC, degno successore del GdM, non ha rilevato il mio passaggio in un punto dell'itinerario che avevo preparato prima di partire, così, con un lungo giro quasi circolare, mi ha riportato all'inizio della Route. Poco male: me la sono goduta due volte e mi sono saziato a sufficienza di curve e panorami da accettare di buon grado la spinta interiore ad attraversare il Viaduc de Millau per raggiungere l'Aubrac, sull'autostrada. Sì, non sono di quelli che condannano a priori l'autostrada: ogni tanto si può fare, se è bella (e la A75 non è male) e se ci permette di saltare da un paradiso all'altro, come uno stargate spazio-temporale (Cévennes e Aubrac sono, indubitabilmente, due paradisi).
Ormai solo più la strada, il paesaggio di cui mi sento parte e la sensazione di piena libertà occupano la mia mente mentre lascio la A75 a Campagnac ed inizio ad addentrarmi nell'Aveyron, nel Parc Naturel Regional de l'Aubrac, fin da subito su strade perfette e senza traffico, verso il fiume Lot, per poi proseguire fino a Prades d'Aubrac, un piccolo paesino dove nel frattempo ho individuato un alberghetto, sulla strada che porta al villaggio medievale denominato Aubrac, una frazione di Saint Chély d'Aubrac che è anche tappa di uno dei mille cammini per Santiago de Compostela. Proprio la strada che porta da Prades a Aubrac è quella che, con il suo dolcissimo andamento ed i suoi panorami, mi ha colpito di più, una strada in grado di infondere un'incredibile sensazione di pace. Ripercorrerò più volte questo pezzo di strada, anche perché a Aubrac ho individuato un piccolo bar con belvedere dove tornerò per riposare davanti ad una birra, rigorosamente locale.
Lascio trascorrere il tempo mentre sorseggio la birretta e mi accorgo che la fuga sta funzionando, che sto bene e mi sto godendo il dolce far niente (avendo un sacco di cose da fare ma da un'altra parte, non qui).
Per oggi può bastare, mi avvio verso l'albergo dove incontro i gestori, Fabrice e Valerie, e alcuni frequentatori del bar che mi fanno immediatamente sentire tra amici. Non tardiamo a iniziare a parlare come se ci conoscessimo da sempre, ben sapendo che difficilmente ci incontreremo ancora ma non importa: viviamo adesso, sans souci.
Quando chiedo loro che cosa non mi sarei dovuto perdere in zona, mi hanno entusiasticamente elencato diversi luoghi che avrei dovuto visitare. Non me li sarei mai potuti ricordare tutti, anzi, nemmeno uno, né nomi né itinerari. Allora ecco che prendono carta e penna e me li scrivono, indicandomi anche la sequenza più logica per passare da uno all'altro.
Torno in camera e, prima sullo smartphone poi sul mio TTdC, creo il percorso sulla base delle loro indicazioni. Eccolo, l'ho riportato in questo itinerario.
Ma non sono qui a scrivere dell'itinerario né dei posti che ho visitato. Sto scrivendo di una fuga, che ha raggiunto il suo apice proprio durante il giro improvvisato sulle indicazioni ricevute da nuovi amici che non conosco affatto.
Ecco cos'è la fuga: la fuga è uscire da schemi come quelli che non ci permettono di essere amici degli sconosciuti, o di partire senza una destinazione; la fuga è l'oblio dei mille problemi quotidiani che ci sembrano insormontabili e invece esistono solo nella nostra testa (lo dimostra il fatto che anche quando siamo in fuga, tutto procede ugualmente, come se niente fosse); la fuga è improvvisazione.
Solo due categorie di persone sanno vivere in questo stato di grazia: i bambini e i motociclisti in fuga.