Tutto è pronto da ieri sera: mutande, calze, sottopantaloni termici, maglia termica, t-shirt, altra maglia, maglione, pantaloni e giacca in cordura, baclava, stivali, guanti estivi e invernali, casco.
Alle otto parto: la temperatura è già gradevole: 15°.
Non ho messo il maglione e sto bene.
Dopo Demonte la temperatura scende sempre più velocemente, per risalire un po' in cima al colle, al sole: 6°.
Metto il maglione. Meno male, perché dal lato francese si è nuovamente in ombra e a Jausiers si scende a 2 gradi, che mi porto fino a Barcelonnette, dove non riesco a rinunciare a un cappuccino che non è altro che l'alibi di un croissant.
Non ho patito il freddo se non un po' alle punte delle dita ma, da qui in poi, sarò al sole, il sole del sud, che mi coccolerà tutto il giorno.
Fin dalla partenza, nessun tratto di strada può essere considerato di spostamento, di congiunzione tra Strade da Moto: è tutto un unico itinerario, un itinerario unico.
Peccato che a un certo punto siano apparsi cartelli gialli con scritto non "Addio Bocca di Rosa con te se ne parte la primavera" bensì un più definitivo "Route barre à trois kilomètres", "à deux kilomètres", "à un kilomètre"...
Infine trovo un gruppo di motard francesi di fronte all'ineluttabile: altri cartelli gialli e dissuasori. Mi fermo, mi salutano e io mi rivolgo a loro con il mio francese fluente:
Incredibilmente mi capiscono e mi rispondono:
- No, c'est barrè.
Questo l'avevo capito.
Guardo il cantiere, dove non ci sono operai al lavoro ma solo macchinari sparsi e un fondo di terra e pietre, e (da italiano) ripeto:
- Oui mee... nè pà posibl d'avansè?
Uno analizza la mia moto e le gomme e, a conferma della bontà del mio francese, mi dice:
- No, it's too hard, and dangerous, the route is very bad!
Allora chiedo:
- How long is the yard?
Nessuno lo sa.
L'anglofono s'allontana. Allora, insistendo col francese, chiedo:
- Un otr rut pur Mon Ventus?
Una risata generale suona come un "benvenuto nel club", infatti uno mi spiega che, con me, siamo in nove diretti a Mont Ventoux.
Guardo il cantiere... è brutto ma tornare indietro è più brutto.
Ci penso un attimo, poi annuncio:
- Je và.
Accendo la moto abbasso la mentoniera del casco come un guerriero, m'infilo tra due dissuasori e in un attimo mi trovo a galleggiare sculettando tra pietre e terra appena smosse, a scegliere e rettificare ad ogni istante una rotta possibile in un mare molto mosso di terra molle, sabbiosa.
Non fermarti non fermarti non fermarti... non fermarti.
Dura poche ma interminabili centinaia di metri, poi il fondo si fa più compatto, più guidabile, finché si trasforma in una normale strada bianca chiusa alla fine da un caterpillar di traverso, che impedisce l'avanzata.
I fossi definiscono i margini della strada ma un passaggio a sinistra permette di accedere al campo, poi, da lì, è una passeggiata.
Rientrato sulla strada principale mi fermo un momento a fare alcune cose:
- prendere fiato;
- compiacermi;
- fare una foto al cartello del cantiere;
- realizzare che è stato molto divertente...
Quando arriva vicino a me, mi dice che dove ci sono gli altri il telefono non prende, e non sa come avvisarli del fatto che la "traversata" sia fattibile; gli rispondo che anche dove siamo noi non prende e che così come lui è partito perché non mi ha visto tornare, loro faranno lo stesso con lui.
Ci guardiamo con l'intesa di due gladiatori vittoriosi e ci diamo appuntamento a Mont Ventoux, un appuntamento virtuale, senza orario e senza obbligo di presenza.
Mi accorgo che le gorge terminano perché inizia un colle dal nome non proprio bene augurante: il Col de l'Homme Mort.
Si presenta subito come una bellissima Strada da Moto. Così, con gli occhi e il cuore pieni di gioia, scalo una marcia per aggredire un tornante e il rumore secco, che sento attraverso il guanto sinistro, unito al fatto che la leva della frizione non torna su, mi fanno capire in un momento che a montarle male il cavo, la frizione si vendica, e te lo strappa. Colpa mia.
Non mi fermo. Non mi posso fermare. Procedo come se niente fosse, cambiando un po' meno e usando l'orecchio invece della leva ormai inerte. Spero di trovare un'officina, un meccanico, ma il tempo passa inesorabile e dopo un'ora, poco dopo mezzogiorno, superato il colle, vedo un gruppo di operai di fronte a un capannone: riesco a invertire la marcia e vado a fermarmi di fronte a loro.
Capiscono subito il mio problema e dopo un secondo hanno già tirato fuori la cassetta degli attrezzi. Non abbiamo un altro cavo, quindi ne recuperiamo quel che resta ma è troppo corto: lo montiamo così com'è la frizione non stacca mai. Lo smontiamo e decidiamo di togliere uno spessore del regolatore dal lato del manubrio: ora stacca ma... slitta molto. Allora smontiamo nuovamente tutto e togliamo la levetta, lato motore, e la inseriamo rivolta un po' più in avanti. Rimontiamo: perfetto!
Mi fanno entrare nel capannone per lavarmi le mani e vedo che stavano preparando pranzo. Sono cordialissimi, gentilissimi: c'è mancato poco che mi chiedessero di fermarmi con loro e, forse, avrei accettato. Amavo la Francia, ora amo anche i francesi.
Pochi km e inizia la salita e più si sale, più aumentano i ciclisti.
Scopro che c'è una tre giorni ciclistica, sul Mont Ventoux. Quelli che salgono, con me, sono man mano sempre più lenti, sudati, sfatti, mentre quelli che scendono, velocissimi, sono sempre più pericolosi.
A due o tre chilometri dalla cima devo fermarmi: come volevasi dimostrare, si sono scontrati frontalmente. Uno saliva e, con ogni probabilità, lo faceva zigzagando per mitigare la pendenza, l'altro scendeva, sicuramente come un razzo, come ne ho schivati diversi. In mezzo a due curve si sono scontrati.
Quando sono arrivato c'era già l'ambulanza della manifestazione ciclistica e uno lo stavano rianimando. Entrambi avevano la faccia gonfia ma senza escoriazioni, come se avessero sbattuto tra loro proprio le loro facce.
Quello più mal messo ha ripreso a respirare e iniziato a lamentarsi. In quel momento hanno fatto passare le moto.
Riparto per arrivare in cima, fermarmi e godermi l'estasi.
Decine e decine di ciclisti, quasi tutti giovani, colorano con le loro magliette sgargianti un ambiente altrimenti brullo, quasi privo di segni di vita, che si affaccia, però, su un autunno quanto mai colorato nel sud della Francia.
E laggiù, lontano lontano, sembra di vedere il mare.
È l'una e mezza e io ho fame. Il bar, che fa solo crepes, è preso d'assalto dai ciclisti della manifestazione, così decido di proseguire e, poco più in basso, trovo un altro bar, dove mi servono quello che mi pare il panino più buono del mondo! Ma a quell'ora sarà stata la fame.
Comunque: per panino e birra piccola (0,25, praticamente un insulto!) mi chiedono 9 euro e mezzo, il che ridimensiona leggermente il mio amore per i francesi che era cresciuto poco prima.
Riparto in discesa, una discesa entusiasmante che mi riporta a valle, dove mi ritrovo sull'ennesima Strada da Moto, tra pini marittimi e siepi, verso le Gorges de la Nesque, che non tardano ad incantarmi. Mi fermo dove una terrazza, con parcheggio, ha raccolto alcuni motociclisti e ciclisti. Poco dopo arriverà anche un gruppo di auto dai colori e rumori da rally, ma si tratta solo di un gruppetto di rumorosi tuners.
La vista sulla gola, con il Mont Ventoux sullo sfondo, è magnifica.
Pochi km mi separano dall'auberge, B&B, agriturismo o... non saprei come chiamarlo.
Ora che ci sono arrivato posso dire che pare una tranquilla fazenda sudamericana, con tanto di cavalli, un lama e uno splendido gestore con pizzetto bianco molto gentile e tranquillo, che mi ricorda uno dei placidi amici di Speedy Gonzales.
Mi rifugio in camera o, meglio, nella piccola suite che ha riservato per me solo, per 50 euro colazione inclusa, dove ho a disposizione ben cinque posti letto e sorrido sotto la doccia mentre penso che cercherò di farmeli bastare.
Non ho voglia di cercare un ristorante, così resto alla fazenda, dove mi ritrovo ad un tavolo da otto: io, l'amico di Speedy Gonzales, che si chiama Yves, il simpaticissimo Luigi, nato italiano a Tunisi e naturalizzato francese, con la sua moglie russa, di cui non ricordo il nome, Maurice, con la moglie Anne e Cirì (così ho capito ma forse è diverso) con la moglie Nicole. Una bella tavolata di anziani che, in fin dei conti, si è rivelata piacevole e divertente.
Ora sono nel primo dei miei cinque letti e... beh... pensiamoci domani, buona notte.
quella frizione non ti dà tregua, comunque non ti impedisce di divertirti tanto.
RispondiEliminaComplimenti per il coraggio, sei un guerriero.
Ciao Luca