È da considerarsi una mostra storica, un riassunto del passato motociclistico, quello composto dall'insieme di vari frammenti presi ognuno dal cuore di qualche motociclista, condito con qualche sorpresa non sempre nota a tutti ma che spesso fa riaffiorare splendidi cimeli sepolti nel giardino dei ricordi.
Con la mostra Easy Rider, la motocicletta è, sì, la protagonista ma soprattutto è il trait d'union tra tutti gli argomenti trattati: arte, estetica, etica, cultura, storia, mito... al punto che il sottotitolo, Il mito della motocicletta come arte, risulta molto riduttivo.
Oltre ad una sala dedicata a un gran numero di foto a tema, nove sale raccolgono e interpretano altrettante declinazioni del concetto motocicletta:
- Stile, forma e design italiano;
- Il Giappone e la tecnologia;
- Mal d’Africa;
- La velocità;
- Sì, viaggiare;
- London Calling;
- Il Mito americano;
- Terra, Fango e Libertà;
- La moto e il cinema.
Che dire delle italiane, delle giapponesi, delle inglesi e delle americane? Niente. C'è solo da restare estasiati davanti ai modelli esposti e alla chiarezza con cui si possono apprezzare le differenze tra le varie culture alla base delle diverse produzioni, quelle differenze che ci permettono di essere tutti diversi nel nostro sentirci tutti uguali, tutti parte di un mondo fatto di strana meravigliosa gente.
Peccato per l'inserimento di titoli che solo incidentalmente hanno a che vedere con la moto e praticamente nulla con il suo mondo (gli Aristogatti? Ma allora perché non Mototopo e Autogatto? Va beh...) mentre altri annullano la distanza tra il mito e la storia mescolandoli in modo entropico, lasciando lo spettatore in uno stato in cui il piacere del ricordo, il desiderio di partire e il senso appartenenza si confondono.
E intanto l'anno prossimo Easy Rider, il film, compirà 50 anni e nessuno può affermare che non siano molto ben portati.
Una mostra che consiglio a chiunque nutra un minimo interesse almeno per una tra le seguenti materie: motociclismo, arte, storia, fotografia, mito.
L'unica pecca è nella presentazione dell'evento: la declinazione di un vecchio detto in Quattro ruote trasportano il corpo, due scaldano l‘anima. È tanto brutto e forzato quanto bello e poetico è, invece, l'originale: Four strokes move the body, two strokes move the soul. Che importa se non tutti lo capiscono: nemmeno Mattina di Ungaretti è compreso da tutti. D'altra parte non è sempre obbligatorio.
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