Ho sempre avuto il timore che qualcuno mi chiedesse di insegnargli ad andare in moto perché non ne sono capace, anzi... avendo ottenuto la patente A insieme alla B praticamente nel tardo medioevo, credo di essere proprio io quello che avrebbe bisogno di un bel corso di guida.
Però alla fine è successo, e mi sono trovato catapultato in quella situazione che, normalmente, rende felice ogni motociclista: il primo giro in moto con mio figlio.
Sì, aveva il suo motorino e sicuramente avrà provato anche la moto di qualche amico ma non aveva mai fatto un vero giro su una vera moto.
Ha preso il foglio rosa e, come ampiamente previsto, me l'ha chiesto. Mi aspettavo la felicità, invece è arrivata la preoccupazione, accompagnata dal senso di inadeguatezza.
Non potevo, certo, sottrarmi a questo compito. Dovevo riuscirci e, conscio che non avrei mai saputo insegnargli a guidare una moto, dovevo farlo perseguendo il duplice obiettivo di passargli il valore della sicurezza ma senza spaventarlo o annoiarlo, per non allontanarlo da questa nuova passione alla quale si sta affacciando.
Pantaloni, giacca, guanti e scarpe recuperate un po' tra la mia roba e un po' tra quella di Roz; qualche raccomandazione, qualche indicazione su cosa fare e cosa non fare alla guida e poi si parte, lui con Etta, l'Himalayan, e io con Madi, la Shiver. Direzione la Valle Maira.
Come da tutti i giovani mi aspettavo da lui dimostrazioni di sicurezza e spavalderia e invece mi sono dovuto ricredere, trovando in lui molta prudenza, curiosità e perfino attenzione alle mie raccomandazioni.
Abbiamo fatto un primo pezzo di strada con me davanti e, negli specchietti, ho notato parecchia attenzione e precisione.
Poi, quando la strada non prevedeva più deviazioni, l'ho fatto passare avanti e, al di là di una guida ancora un po'... tesa (a volte sono ancora troppo teso io, dopo 45 anni di guida di motorini e moto), non ho notato la ricerca né della velocità né di stupire o impressionare, solo di apprendere.
Arrivati a Stroppo ci siamo fermati e gli ho proposto l'alternativa: sinistra, verso Acceglio, la strada e le curve continuano ad essere ampie e pulite, com'è stato fino a qui; oppure a destra, verso Elva, strada stretta, sporca, umida, con diversi tornantini e curve quasi sempre cieche.
- Quale vuoi fare?
La risposta mi ha disarmato:
- Se pensi che io la possa fare, mi piacerebbe provare a destra.
Ciò che avevo visto fino a lì mi ha convinto a... rischiare.
Due o tre tornanti e ci siamo fermati perché, da pessimo insegnante quale sono, non gli avevo spiegato come affrontarli, poi su, lenti ma inesorabili, fino ad Elva.
Una sosta sulla piazza, per confrontarsi sulla strada e sulla guida proprio come due veri motociclisti navigati.
L'avviso del fatto che scendere è più difficile rispetto a salire, poi giù, verso casa, dove Roz ci aspettava, senza dubbio in apprensione.
Tutto bene e, finalmente, è arrivata anche la felicità o, meglio, il senso di appagamento per aver fatto ciò che dovevo ma che temevo di fallire.
Pare che in casa ci sarà un motociclista in più e se saprà essere sempre prudente forse sarà un po' anche merito mio e il corso di guida sicura, magari, lo andremo a fare insieme, così imparerò anche io a guidare come si deve, chissà?!
Certo che come battesimo non ci sei andato leggero, ma alla fine la soddisfazione sarà stata almeno tripla.
RispondiEliminaCiao Mario, penso che la cosa più importante tu l'abbia fatta già da tempo; trasmettere la passione per i viaggi in motocicletta è stata la cosa più diffcile da fare ma dove tu hai saputo toccare le corde giuste. La tecnica, che umilmente dici di non sapere insegnare è solo una delle tante possibilità che avrai per condividere altri momenti con tuo figlio.
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